Non si rassegnavano che il loro maestro dalla voce tonante e dalla figura imponente, vero erede dei grandi profeti di Israele, lasciasse prevalere il giovane Rabbí di Nazareth, a prima vista più modesto. Serpeggiava questo sentimento tra i discepoli di Giovanni il Battezzatore, un sentimento venato anche di gelosia, come si riferisce nel contesto in cui è incastonato il frammento che abbiamo desunto dal quarto Vangelo.
Là, infatti, si evoca questa reazione dei seguaci del Battista: «Rabbí, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco sta anche lui battezzando e tutti accorrono a lui!» (3, 26).
È questa una tentazione che attecchirà anche tra gli stessi discepoli di Cristo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non era uno dei tuoi seguaci. Ma Gesù disse: Non glielo impedite! Chi non è contro di noi è per noi!» (Marco 9, 38-40). Ma ritorniamo a Giovanni e alla risposta che egli rivolge contro il sospetto dei suoi zelanti amici. Ricorrendo a un famoso simbolismo biblico, usato dai profeti per delineare l’intimità del patto tra Israele e il Signore, ossia all’immagine nuziale, il Battista definisce Cristo come lo Sposo per eccellenza a cui è legata la sposa, che è la comunità dei credenti in lui.
Già questa rappresentazione rivela la straordinaria considerazione di Giovanni nei confronti di Gesù, riconosciuto in pratica nella sua divinità, a causa dell’applicazione della simbologia nuziale profetica. In questa cornice egli ritaglia anche il suo spazio e delinea il suo autoritratto, quello di «amico dello Sposo». La formula non è generica, così come appare di primo acchito; essa, infatti, ha una qualità che potremmo definire come “tecnico-giuridica”.
Nell’antico Israele l’“amico dello sposo” era colui che era stato incaricato dai due clan familiari di tenere i rapporti tra i fidanzati, così da formalizzare tutti gli aspetti concreti, legali ed economici del futuro matrimonio. Si tratta, quindi, di una missione rilevante, fuor di metafora, di far incontrare Cristo e Israele. In questa luce Giovanni è veramente “il Precursore” o, come si legge nel prologo giovanneo, «non era la luce, ma colui che doveva dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7). Limpida e coraggiosa è, perciò, la confessione che egli aggiunge, destinandola ai suoi discepoli perché superino la loro ristrettezza spirituale: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30).
Una frase che è segno di verità e di umiltà, di consapevolezza della propria vocazione e dei limiti che essa comporta. Cari parrocchiani, non trovo parole più efficaci e belle per descrivere ciò che ognuno di noi è rispetto a Cristo. Tutti noi siamo la “penultima” parola, perché l’ultima e la definitiva è Cristo. Amare è saper essere così decisivi nella vita di chi si ama fino al punto da saper fare un passo indietro. Perché l’amore fa aumentare la libertà e non crea dipendenze.
Come dice molto bene un autore spirituale: “Il Battista si sente come quei supporti che si mettono accanto agli alberi quando sono giovani. Servono a farli crescere dritti, a non farli spezzare dal vento, a tenerli ancorati a qualcosa di solido. Ma quando l’albero cresce non ha più bisogno di un supporto simile perché ormai ha la sua direzione, la sua forza, il suo sostegno. L’amore è saper essere decisivi così nella vita delle persone, fino al punto da diminuire”. Qui c’è un insegnamento decisivo da riconoscere e accogliere: l’identità cristiana è solo in relazione al Cristo, è relativa a Lui. Le modalità e i tratti della testimonianza di Giovanni insegnano moltissimo alla Chiesa e alla vita della nostra comunità parrocchiale.
Lui è come una mano che indica, come un indice che orienta. Lui distoglie lo sguardo da sé e spinge i passi della gente verso il Cristo. Giovanni riconosce qual è il suo posto e lo abita con fedeltà. Fa spazio a Colui che deve venire. Abbiamo bisogno di diminuire la densità del nostro Io che tutto vorrebbe occupare, ingombrando la scena del nostro mondo interiore.
Abbiamo bisogno di creare spazi perché la libertà dell’altro trovi accoglienza in noi, vincendo la rigidità dei nostri schemi irreversibili. Una vera e propria lezione per tutti, ma soprattutto per genitori ed educatori, per guide e maestri: la loro missione non è quella di mettere se stessi al centro per farvi convergere per sempre i figli o coloro che sono affidati alle nostre cure educative o pastorali; bensì è il far crescere l’altro in pienezza, così che raggiunga la sua maturità. Del resto tutta l’opera di Giovanni Battista è aiutare le persone a smettere di essere egocentriche, accettare la propria fragilità e a desiderare di essere aiutate per davvero ad uscire dal pantano dell’autoredenzione.
Mentre si avvicina l’evento del Mistero del Natale, ricordiamoci che solo Gesù salva, allontaniamoci da ogni autoreferenzialità e affidiamoci all’unico Amore che può salvarci davvero, l’amore di Dio!
Il vostro parroco, don Giovanni