Il Vangelo di Matteo 13, che la liturgia offre alla nostra meditazione personale e comunitaria, parla alla realtà della prima comunità cristiana, percorsa da contrasti e conflitti, dove alcuni si ritengono giusti e migliori, più bravi degli altri e fanno fatica a convivere con quelli che sono giudicati falsi ed empi. Molto spesso la comunità cristiana è stata percorsa dalla tentazione
della separazione: piuttosto che cercare di proporre la bellezza anche a chi sbagliava, molte volte i cristiani hanno scelto di farsi da parte, di ritirarsi, di non contaminarsi, considerandosi migliori, suscitando così divisioni e muri di separazione all’interno.
La Parola del vangelo è un invito a superare questa logica anche nell’oggi della nostra vita personale e comunitaria. Le parabole che Gesù racconta in questo passo del Vangelo di Matteo sembrano dire che lo stile di Dio non è questo. Dio agisce con pazienza e piccolezza. Non ama i giudizi affrettati. Non attira l’attenzione. Agisce scomparendo. Ama prendersi tempo. Dio è esattamente agli antipodi rispetto alla fretta e al narcisismo della nostra cultura.
Cari Parrocchiani Quel mondo complesso in cui abitiamo ce lo portiamo dentro. Il grano e la zizzania ci abitano. Sono gli affetti contrastanti, le spinte oscure che ci muovono e a cui facciamo fatica a dare un nome. Se la zizzania si diffonde nel campo del mondo, nei contesti in cui ci troviamo, non può non abitare anche il nostro cuore. Il nemico semina la zizzania nel nostro cuore di notte, quando siamo più deboli, quando non vediamo bene cosa succede. La zizzania, dice Gesù nella sua spiegazione, è tutto ciò che contrasta con la parola del Vangelo: se Dio vuol spingerci verso la felicità, la zizzania è tutto ciò che ce ne vuole allontanare. Come i servi della parabola, la prima reazione è quella di prendere le distanze dal male che scopriamo in noi. Cerchiamo un responsabile: padrone, non hai seminato del buon seme? La colpa è sempre di un altro. I servi non si chiedono se forse proprio loro non sono stati vigilanti. Il padrone della parabola invita ad avere pazienza, perché il grano e la zizzania, quando spuntano sono molto simili. Così, anche quello che si muove dentro di noi, all’inizio non è così chiaro. Abbiamo bisogno di aspettare per vedere ciò che porta vita e ciò che invece la toglie. A quel punto sarà possibile cominciare a mettere ordine, distinguendo ciò che ci aiuta e ciò che invece ci danneggia. A volte siamo frettolosi, è vero, ma altre volte rischiamo di aspettare senza fine.
C’è un momento invece in cui riusciamo a vedere la differenza tra il grano e la zizzania, e allora abbiamo la responsabilità di intervenire. È il tempo della decisione. Abbiamo bisogno di volerci bene e prenderci tempo, come il granello di senape ha bisogno di tempo per diventare un albero e il lievito per far crescere la pasta. Abbiamo bisogno di onestà per riconoscere che la zizzania è anche nel nostro cuore. Abbiamo bisogno di coraggio per arrivare a decidere quando le cose sono sufficientemente chiare. Questa bellissima parabola del Vangelo c’invita a fare verità in noi e sulle situazioni che abbiamo davanti ai nostri occhi, nelle relazioni personali e comunitarie, senza fretta, senza essere precipitosi, abbiamo come l’urgenza di arrivare subito ad una conclusione, non ci diamo tempo, lo facciamo anche nei confronti delle valutazioni che costruiamo sui contesti che abitiamo. Mi ha colpito una riflessione proposta da un autore spirituale e che vorrei condividere con voi: “Spesso ci chiediamo come sia possibile che apparteniamo alla stessa Chiesa, alla stessa comunità, allo stesso partito. Uno degli aspetti più preoccupanti della cultura di oggi è la polarizzazione: ogni volta che qualcuno esprime un’opinione viene immediatamente etichettato dai media, viene considerato a favore o contro. Sembra che non sia più possibile esprimere un’opinione senza essere a favore o contro qualcuno. È il segno di una cultura violenta, che semplifica, uccidendo la possibilità di pensare. Pensare e decidere richiedono tempo.”
Il vostro parroco, don Giovanni