Diventare genitore non è mai stato facile. Significa lasciarsi espropriare dalla propria esistenza, non essere più centrati su se stessi. Si diventa genitori quando si è capaci di donare la vita a qualcuno, senza pretendere di diventarne padroni. È lo spazio della gratuità.
Per questo si diventa genitori non soltanto o non semplicemente quando si concepisce un figlio, ma si diventa genitori quando si dà la vita per qualcuno, lasciando che scelga la strada da percorrere. Si diventa genitori quando si è disposti a vedere un figlio mentre percorre una strada che non è quella immaginata. Genitore è chi non è ossessionato dal tentativo di produrre una propria fotocopia che si distenda nel tempo. Non è genitore chi pretende di manipolare la vita affinché gli dia soddisfazione. Come Maria, ogni genitore viene attraversato da una spada, quella spada che chiede di mettere una distanza. La relazione tra un genitore e un figlio è sana quando non diventa fusione, ma accetta la separazione inevitabile. Quella separazione necessaria, che avviene nel taglio del cordone ombelicale, si deve poi realizzare nuovamente nello sviluppo della vita.
La nostra cultura, lo sappiamo, attraversa una crisi di paternità. Non ci sono più padri. Non ci sono più coloro che accettano di morire affinché il figlio possa vivere. Se i padri sono aggrappati alla loro giovinezza, rischiano di non saper aiutare i propri figli a crescere davvero. Oggi ci sono sempre più padri adolescenti, che subiscono il ricatto affettivo dei figli: hanno non la tentazione di abbandonare, ma la paura di essere abbandonati. Ci sono padri che occupano tutta la scena, relegando i figli a figure di contorno o trofei da esibire.
Il Vangelo di Matteo che la liturgia Ambrosiana della santa famiglia ci consegna ci presenta invece la figura di Giuseppe come colui che è pienamente coinvolto nel compito di proteggere e difendere la vita del figlio. In pochi versetti, Matteo rievoca tre appelli che Dio rivolge a Giuseppe nel sogno. È il segno di una relazione profonda tra Dio e quest’uomo. Giuseppe è continuamente in ascolto di Dio. Non interpreta il figlio come sua proprietà, ma se ne prende cura come un dono che Dio ha consegnato nelle sue mani.
Giuseppe è talmente preoccupato di ascoltare Dio che nel Vangelo non parla mai. Ascolta Dio e agisce. Come genitori che spazio diamo all’ascolto di Dio riguardo alle vicende familiari, in ordine alle scelte da prendere verso i propri figli? “Se marito e moglie non fanno entrare Dio nella loro vita, qualcos’altro o qualcun altro si incaricherà di immaginare la loro vita per loro.” Giuseppe si alza nella notte, sa che deve affrontare l’oscurità della vita del figlio. C’è un futuro sempre incerto, una vita da costruire. Non ci sono garanzie o certezze.
Si diventa genitori quando non si fanno più calcoli, si dona la vita e basta, perché è proprio in quell’atto di generosità che si incontra la pienezza. Anche Giuseppe deve affrontare la notte della vita di Gesù, non sa dove porterà quella strada, ma per ora l’unica cosa che conta è difendere la vita del Figlio. Mi colpisce quello che afferma un autore spirituale: “Attraverso Giuseppe, Dio ci fa incontrare il paradosso del Salvatore salvato: nella sua umiltà e nel suo amore per l’umanità, Dio si lascia salvare dall’uomo per preparare la salvezza dell’uomo da parte di Dio.” Giuseppe è raccontato dall’evangelista Matteo anche con le sue paure: torna nella terra di Israele, come Dio gli ha indicato, ma viene a sapere che il figlio di Erode ha preso il posto del padre. Anche il potere si riproduce.
Giuseppe non è né ingenuo né idealista, vede la realtà e si interroga. Solo il dialogo e la fiducia in Dio gli permettono di affrontare una realtà che non sembra rassicurante. Contrapponendo la figura di Giuseppe a quella di Erode l’evangelista ci mostra modi diversi di essere padre, infatti come Giuseppe è modello del padre, Erode è il modello di colui che non riesce a diventare adulto. Erode cerca il bambino per ucciderlo. Erode vede nel bambino l’antagonista, colui che può portargli via il potere. L’interesse di Erode è una finzione, vuole manipolare la realtà solo per assicurarsi il suo potere.
Anche nel nostro tempo l’antitesi tra Giuseppe ed Erode si ripropone, sono modelli diversi e antagonisti di paternità. Uno dei grandi passaggi che stiamo vivendo si gioca oggi su questa alternativa. Si tratta di scegliere quale modello di adulto vogliamo proporre, ma si tratta anche di decidere quale modello formativo, sia nella vita ecclesiale, ma anche nella realtà politica e sociale, vogliamo presentare: quello del padre adulto come Giuseppe o quella del potente adolescente manipolatore come Erode. E la risposta non è così scontata.
Cari parrocchiani, Dio nella storia della salvezza ha scelto la famiglia per raggiungere il cuore di tutta l’umanità. Egli ha fatto un patto con Abramo, promettendo un figlio a lui e a sua moglie Sara. Quel patto si è avverato quando Sara, sfidando qualsiasi attesa umana, ha dato alla luce Isacco. Poi Dio ha fatto un patto con la Vergine Maria, e lei ha dato alla luce Gesù e un mondo nuovo. Nonostante i molti punti di crisi la famiglia è ancora un luogo vivo e concreto, in cui i figli vengono cresciuti e amati, trovano sicurezza e imparano la fiducia e l’amore; la famiglia è ugualmente il luogo in cui anche i figli si preoccupano dei genitori, in un contesto reciproco di amore e di responsabilità per tutta la vita.
Fondamentalmente la famiglia riguarda il dare e il ricevere la vita. Vogliamo pregare oggi per tutte le famiglie che con amore lottano per custodire l’Amore e il bene e il futuro del mondo. Per tutte le famiglie che affrontano prove e avversità per rimanere fedeli alla bellezza della vita che cresce e che non va tradita in nessuna fase della sua esistenza. Desideriamo ringraziare Dio per il dono delle nostre famiglie e ringraziare tutti coloro che ci fanno sentire a casa, in famiglia, in ogni luogo in cui ci troviamo, perché sanno amare. Il mondo ha bisogno di persone che non rinunciano ad amare con benevolenza.
Il vostro parroco, don Giovanni