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Cristo è Re e ci salva perché sa amare con libertà interiore | Settimanale 10 novembre 2024

Celebriamo oggi l’ultima domenica dell’Anno Liturgico, chiamata solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo. Il Vangelo che la liturgia Ambrosiana ci propone per la meditazione è un testo della Passione, perché la croce è il trono regale di Cristo, il luogo della sua battaglia principale. Il Vangelo ci presenta un uomo apparentemente sconfitto sulla croce, affiancato da due ladroni.

Che cosa fa di lui un re? Da cosa può salvarmi un re simile? Le parole sono importanti: talvolta le usiamo per abitudine e rischiamo di non coglierne più il senso profondo. Ad esempio, cosa intendiamo quando usiamo il verbo “salvare”?

 

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Nel linguaggio comune, lo utilizziamo spesso: ci affrettiamo a salvare i documenti sul computer o su una memoria esterna; ci consoliamo quando la nostra squadra si salva dalla retrocessione; ci sentiamo “salvati” quando, essendo impreparati, il professore interroga qualcun altro. Sembra quindi che, nel linguaggio quotidiano, “salvare” significhi riuscire a controllare, evitare di rovinare la propria immagine, non fallire, superare le prove. In generale, “salvare” per noi significa essere padroni della nostra vita.

Ma se guardiamo a come Gesù interpreta questo verbo, notiamo una certa distanza rispetto alla nostra prospettiva. Questo diverso modo di intendere la salvezza ci aiuta a comprendere anche la sua regalità. Mentre è sulla croce, infatti, tutti lo incitano a salvare se stesso, un invito che ci ricorda forse ciò che ci dicevano da piccoli: “Pensa prima a te!” Salvare se stessi significa non fallire, dimostrare il proprio valore. Nella gara della vita, impariamo a salvare noi stessi, anche a scapito degli altri. Fin da piccoli ci abituiamo a competere per dimostrare di non essere inadeguati.

Nel Vangelo di Luca si legge che “la gente stava a guardare”. Succede anche oggi: siamo circondati da aspettative, pregiudizi, attese a cui ci sottoponiamo. Viviamo cercando di compiacere gli sguardi altrui. Così, il desiderio di salvezza si trasforma in ansia di salvezza, che ci rende schiavi del nostro io, dell’immagine, del giudizio degli altri.

Gesù è Re perché interpreta diversamente il verbo “salvare”. Non è ossessionato dal proprio io, né schiavo delle attese altrui, ma si preoccupa innanzitutto di salvare gli altri. Non mette se stesso prima degli altri. Quando, nel deserto, affronta la tentazione di trasformare le pietre in pane per saziare la propria fame, Gesù si rifiuta: mangerà con gli altri, insieme agli altri. È Re perché è l’uomo libero per eccellenza.

Come afferma un autore spirituale: “Il tentatore aveva detto che sarebbe tornato al momento opportuno. Torna infatti nel momento in cui Gesù è più debole: nella passione, nella sofferenza, nell’abbandono, nella delusione. E proprio nel momento più difficile, la tentazione si ripresenta sotto forma di auto-salvezza. Nei momenti di difficoltà, siamo tentati di pensare prima di tutto a noi stessi, diventando schiavi delle preoccupazioni del nostro io”.

Cari parrocchiani, per liberarci dalla schiavitù del nostro io dobbiamo fidarci: dobbiamo lasciarci salvare. Gesù si fida del Padre, si consegna nelle sue mani. Nel Vangelo di Luca, c’è però qualcuno che ha già imparato: il ladrone che si lascia salvare. Riconosce di avere bisogno di Dio, comprende di non poter affrontare la battaglia da solo, e si consegna.

Affidarci a Dio ci libera dalla schiavitù del nostro io e ci rende Re della nostra vita: diventiamo liberi. Liberi come Colui che sconvolge le nostre attese e, pur essendo debole, conclude la sua vita non tra discepoli né su un trono regale, ma sulla croce, in mezzo a due ladroni. Forse è proprio lì che vuole stare: in mezzo ai peccatori, come noi.

Il vostro parroco,
Don Giovanni

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