La Missione comincia dove finisce la paura
C’è una montagna, alla fine del Vangelo. Non un palcoscenico, ma un punto alto da cui si guarda la vita intera. Lì, undici uomini — non dodici, perché qualcuno si è perduto — si ritrovano davanti a Gesù risorto. È un piccolo gruppo ferito, incerto, eppure convocato. La storia della salvezza riparte sempre da pochi, da chi rimane, da chi nonostante tutto ha ancora voglia di credere e si è lasciato raggiungere dalla Misericordia di Dio. «Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono.» Che realismo disarmante! La fede nasce dentro il dubbio, non al di là di esso. Non c’è contraddizione: chi ama davvero, conosce anche il timore di non farcela. Gesù non rimprovera i loro dubbi; li prende così come sono e li trasforma in un punto di partenza.
È questa la pedagogia di Dio: non aspetta la perfezione per chiamarci, ma trasforma la nostra fragilità in Missione. Gesù non dice: “Adesso che avete capito tutto, andate.” Dice invece: “Mi è stato dato ogni potere… Andate dunque.” Prima di chiedere, dona. Prima di inviare, assicura la sua autorità e la sua presenza. La Missione cristiana non è un progetto strategico pensato a tavolino, ma una conseguenza dell’incontro con Cristo. Non parte da un’ansia di “rastrellare persone”, ma dalla gratitudine di essere stati raggiunti dall’Amore di Gesù. Chi ha sperimentato la Parola che guarisce, il perdono che rimette in piedi, non può tacere. Il “dunque” di Gesù è come il respiro dopo il battito del cuore: naturale, inevitabile.
“Fate discepoli”: non reclutate, generate
Il verbo greco del testo di Matteo non dice “convertite” o “conquistate”, ma “fate discepoli”: mettete le persone nella condizione di camminare dietro a me. La missione non è una campagna di reclutamento, ma un accompagnamento. Si tratta di insegnare a osservare ciò che Gesù ha comandato, ma anche di battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: immergere le persone in una relazione viva, prima ancora di trasmettere una dottrina. Fare discepoli significa insegnare a vivere immersi in Dio, a riconoscere che ogni istante può diventare sacramento, ogni ferita può trasformarsi in sorgente di vita nuova. Non si tratta di cambiare il mondo, ma di abitare il mondo in modo diverso, perché sappiamo che l’Amore è già all’opera.
“Io sono con voi”: la promessa che regge tutto
Il Vangelo termina con una frase che è il cuore di tutto: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.» Gesù non promette che sarà facile, ma che non saremo mai soli. Il Battezzato impegnato a vivere la Missione , non vive di successi pastorali, ma della presenza di Cristo. Dove un cuore crede nonostante un certo buio, lì Cristo c’è. Dove un uomo sceglie di perdonare, lì Cristo è. Dove qualcuno rimane fedele nel nascondimento umile della preghiera, lì Cristo è. È la Sua presenza che trasforma la paura in audacia, la stanchezza in fedeltà, la sconfitta in una nuova nascita. Questa è la buona notizia: non siamo mai soli nell’andare. Siamo accompagnati da un Amore che ci precede.
La fine che è un inizio
Cari Parrocchiani, il Vangelo di Matteo non chiude con un punto, ma con una promessa aperta. È come se Gesù dicesse: “Adesso tocca a voi, ma non senza di me.” Ogni volta che la Chiesa si mette in cammino — tra dubbi, stanchezze, e piccoli sì quotidiani — quel monte della Galilea torna a esistere, invisibile ma reale. Lì, in ogni casa, parrocchia, ospedale, aula, fabbrica, dove qualcuno sceglie di credere nell’Amore, il Risorto rinnova la sua Alleanza. “Andate” non è un ordine: è un respiro di vita e di libertà. “Fate discepoli” non è un comando: è un invito a vivere relazioni capaci di generare fatti di vangelo. “Io sono con voi” non è una consolazione: è la radice della Missione.
La Chiesa non è fine a sé stessa
La Chiesa non è fine a sé stessa. La sua missione essenziale è l’evangelizzazione e la salvezza, che trae la sua forza dall’amore di Cristo. Il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa come un “sacramento — segno e strumento, cioè, dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano. La missione della Chiesa è riassunta nel compito centrale di riconciliare le persone: con Dio, con sé stesse, con il prossimo e con l’intera creazione. Dobbiamo chiederci: siamo missionari con le nostre parole e, soprattutto, con la nostra vita cristiana, con la nostra testimonianza? Oppure siamo cristiani chiusi nei nostri cuori e nelle nostre consuetudini, frammentati in logiche parziali di appartenenza, rinchiusi nei nostri gruppi e attività pastorali? Una Chiesa chiusa in sé stessa tradisce la propria identità, anche una comunità cristiana troppo piegata su di sé tradisce la sua autentica identità ecclesiale. La Chiesa deve “andare fuori” e incontrare gli altri, diffondendo la gioia del Vangelo. La Missione “ad gentes” (verso i popoli che non conoscono Cristo) non è più definita solo da considerazioni geografiche; essa include anche i contesti sociali, culturali e, soprattutto, i cuori umani, che sono il vero obiettivo dell’attività missionaria e pastorale della Chiesa. La nostra vocazione di battezzati è quella di ricevere la luce di Dio e di rifletterla dove viviamo. Come la luna non brilla di luce propria, ma riflette quella del sole, così la Chiesa risplende della luce di Cristo. Invochiamo l’intercessione della Beata Vergine Maria, Stella dell’Evangelizzazione, affinché la nostra Chiesa locale assuma con generosità crescente la sua parte di responsabilità nella missione universale, attraverso il contributo di ciascuno di noi, con umiltà e passione.
Il vostro parroco, don Giovanni