Il dialogo tra Gesù e i giudei si apre con la solenne proclamazione: “Io sono la luce del mondo”. Per fare questa affermazione, Gesù prende lo spunto dalle luminarie della Festa delle Capanne, nella quale si illuminava il tempio di Gerusalemme con tanta profusione di luci. Gesù si proclama la luce non solo di Gerusalemme, ma di tutta l’umanità. Egli, per la prima volta, si proclama, in modo solenne ed esplicito, la luce del mondo, cioè la rivelazione divina che porta vita e salvezza.
Per non camminare nelle tenebre, bisogna seguire Gesù, diventare suoi discepoli. Tenebre e luce: una contrapposizione ricorrente nel vangelo di Giovanni per esprimere i due possibili atteggiamenti dell’uomo in rapporto alla persona di Cristo. Chi segue Lui «non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). In cosa consistono queste tenebre? Chi cammina in esse – avverte Gesù – «non sa dove va» (Gv 12,35). Tenebra è dunque il buio fitto della notte esistenziale in cui l’uomo, avendo scelto irresponsabilmente di vivere nell’inautenticità, va alla cieca, interiormente disorientato. E questo vacillare incerto e confuso diventa a poco a poco ma inesorabilmente apatia rinunciataria o corsa affannosa e povera d’intenti.
In entrambi i casi, chi si consegna alle tenebre, schiavo della menzogna, senza più punti di riferimento, ha deciso in cuor suo di «non venire alla luce». Non si tratta dunque di un incidente di percorso, di una sbandata passeggera, ma di una decisione maturata nell’oscurità della malafede superba, un atto ben congegnato e in piena libertà.
Certamente, non siamo “tenebra” perché Cristo ci ha resi “figli della luce”, ma corriamo continuamente il rischio di esservi risucchiati, «sorpresi», come ammonisce Gesù. Ma anche se per un momento ci fossimo arresi al buio, c’è una verità dirompente che può rimettere in circolazione inattese energie spirituali: la certezza di essere amati da Dio, che si ravviva quotidianamente nel dialogo orante con Lui.
Ecco perché è importante che “nel mentre attendiamo alle cure quotidiane, – come ben sottolinea un mistico ebreo – facciamo in modo che la parte più preziosa di noi, più attenta, sia dedicata a quello che noi sappiamo essere importante” (Bachya ibn Paluda).
Il vostro parroco,
don Giovanni