Il Vangelo della quinta domenica di Pasqua custodisce una perla della vita cristiana, un comando nuovo che Gesù lascia ai suoi amici e che vorrebbe fosse il pezzo forte dello stile di vita di ogni discepolo. Qualunque sia la nostra vocazione, la prima chiamata che Gesù e lo Spirito Santo ci rivolgono è quella di saper amare. Un amore preciso, che ha un punto di riferimento evidente, chiaro: amatevi come io vi ho amato.
Amare non è una cosa facile, amare in certi momenti può sembrare qualcosa di spontaneo, che ti viene da dentro, ma amare come Gesù ci ha amato è un’altra cosa. Seguire questo comando significa amare fino a dare la vita per i tuoi fratelli, amare anche quando nessuno ti ama, addirittura amare anche chi ti odia. Guardando la vita di Gesù, lo stile del modo con il quale ci ha amato, potremmo proseguire: ama e fai il bene anche se l’unica risposta che otterrai saranno critiche e nuovi nemici. Ama sempre, ama tutti, anche chi ti sta tradendo mangiando alla tua tavola.
Il Vangelo mi dà una certezza: l’amore non è un sentimento, qualcosa prodotto da me, qualcosa che viene e che va, una sensazione, un mio desiderio, l’effervescenza di un attimo… l’amore è una realtà. L’amore è reale, come un luogo, come un volto che conosci, come una tenda in cui puoi viverci dentro. Gesù offre sé stesso come volto di ogni autentico amore: è la casa in cui già siamo, che ci custodisce come il grembo materno. L’amore viene da Dio, è cosa di Dio; amore unilaterale, amore a prescindere, amore asimmetrico e, infine, amore incondizionato.
Che io sia amato dipende da Lui, non dipende da me. Il nostro unico compito è decidere se rimanere o no in questo amore. Ma perché scegliere di accogliere l’amore così come Cristo ce lo ha offerto? Gesù stesso risponde nel Vangelo di Giovanni: «Perché la vostra gioia sia piena». Il Vangelo va ascoltato con attenzione perché in gioco c’è la possibilità di una vita piena di gioia o triste come un incespicare che affatica l’esistenza. Gesù dice amatevi gli uni gli altri in un rapporto di comunione, di sincerità, di libertà. L’amore non si addice alle cose generiche, ai fatti generici, non si ama l’umanità, si ama questo uomo che ho davanti a me, si ama questa donna che ho vicino a me, si ama questo volto e si stringe questa mano.
Non è da tutti amare come Cristo, che cinge un asciugamano e lava i piedi ai suoi, che non manda via nessuno, che dialoga anche con coloro che lo stanno cercando solo “per fregarlo” e per aggiungere un’accusa in più per il processo che verrà… proprio perché l’amore a cui ci chiama Gesù non è spontaneo, non è facile e non è immediato, c’è una strada per imparare ad amare così, ed è la preghiera.
Dall’incontro con Dio nella preghiera nascono tutte le trasformazioni che desideriamo per noi stessi, perché solamente il contatto con il Cielo può guarire la terra inaridita dei nostri sentimenti. Ciò di cui il mondo oggi ha più bisogno, oltre all’amore, è la preghiera. Sono sempre più convinto che la cosa più utile e necessaria per la Chiesa, oggi, sia comunicare agli uomini la sete della preghiera e insegnare loro a pregare. So che sto dicendo una cosa scomoda, che non va di moda nemmeno nella vita delle nostre Parrocchie, eppure rimango convinto che suscitare in qualcuno il gusto della preghiera significa fargli il regalo più grande, per metterlo nelle condizioni di Amare come Gesù ci chiede.
Chi ha la preghiera ha tutto, perché ormai Dio può entrare liberamente, agire nella sua vita e operarvi le meraviglie della Sua grazia. Pensate come la fedeltà alla preghiera è preziosa, poiché ci aiuta a preservare l’aspetto della gratuità nella nostra vita. Pregare è perdere il proprio tempo per Dio, alla base c’è un atteggiamento di Amore gratuito. Questo senso della gratuità è molto minacciato oggi in cui tutto è pensato in termini di redditività, efficienza e performance, il che finisce per distruggere la nostra esistenza umana.
L’Amore vero non può limitarsi alla categoria dell’utile, per questo il Vangelo ci ricorda che non siamo unicamente dei servi, siamo chiamati a essere amici, in una vita e in un’intimità condivisa al di là di ogni utilitarismo. Pregare significa amare, poiché si dona il proprio tempo e si dona la propria vita.
L’Amore non è innanzitutto fare qualcosa per l’altro, è essere accanto, essere presente: la preghiera ci educa a essere presenti a Dio in una semplice attenzione d’amore. La meraviglia è che imparando a essere presenti a Dio, impariamo anche a essere presenti agli altri.
Nelle persone che hanno avuto una lunga vita di preghiera, si percepisce una qualità di attenzione, presenza, ascolto e disponibilità, di cui spesso non sono capaci le persone la cui intera vita è stata occupata dall’attività. Dalla preghiera nascono una delicatezza, un rispetto e un’attenzione che sono un regalo prezioso per coloro che si trovano sulla nostra strada. Aveva proprio ragione Marthe Robin: “La nostra vita varrà quello che varrà la nostra orazione”.
Cari parrocchiani, preghiamo e impariamo ad amare!
Il vostro parroco, don Giovanni