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Una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune | Settimanale 7 giugno 2025

Nel giorno di Pentecoste, al termine del tempo pasquale, la Chiesa ci chiede di guardare a ciò che di più misterioso, indefinito, difficile da scorgere c’è nella nostra esistenza individuale e comunitaria: lo Spirito Santo. La sua presenza è vicina, vicinissima, eppure così sfuggente, impalpabile, facilmente fraintendibile e addirittura ignorabile.

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C’è però un luogo in cui l’invisibilità dello Spirito Santo si infrange, e la sua diventa una presenza luminosissima, evidente, che può diventare oggetto del nostro discernimento. Questo luogo sono i frutti che lo Spirito Santo produce nella vita di una persona e di una comunità. Sì, nessuno di noi può vedere lo Spirito santo, ma tutti possiamo fare un discernimento sulla presenza dei suoi effetti. Il racconto degli Atti ci dice che dove c’è lo Spirito si crea un legame tra la capacità di parlare la lingua dell’altro e quella di annunciare le grandi opere di Dio “li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”. Non solo la capacità dell’annuncio di fede, e neanche, da sola, la capacità di comunicare con l’altro, il lontano, lo straniero che possiede un’altra lingua. Ma un annuncio che va insieme alla capacità di farsi vicino all’altro.

Le opere di Dio vanno comunicate, ma vanno dette nella lingua udibile dall’altro, da colui che non le conosce. Lo Spirito Santo guida i cristiani in questa avventura dell’annuncio, ma la trasfigura continuamente nell’avventura di un incontro, di una comunicazione efficace, di una parola umana vera, detta da un uomo ad un altro uomo che si incontrano a partire dalla loro distanza. La strada della missione e dell’evangelizzazione è sempre anche la strada della relazione.

Nessuna verità è possibile al di fuori della carità, e lo Spirito non ci permette di far diventare l’annuncio della fede un obiettivo in nome del quale ignorare le persone e la loro presenza, ma ci aiuta a comprendere che proprio l’incontro con l’altro e con la sua lingua rende possibile l’annuncio dell’amore di Dio per ogni uomo. Nell’insegnamento di Paolo ai cristiani di Corinto vi è un altro segno attraverso il quale si può riconoscere l’invisibile presenza dello Spirito: l’intuizione che nella differenza è nascosta una unità.

Gli occhi di chi è abitato dallo Spirito sono capaci di uno sguardo che tiene insieme il rispetto per la varietà dei carismi, dei ministeri, delle caratteristiche plurali delle persone e delle situazioni, con la coscienza di un fiume sotterraneo che tutto ciò attraversa, un fiume che lega ogni cosa con l’altra. Sappiamo bene che proprio questo era il problema di quella giovane e ricca comunità greca: la vivacità e la ricchezza dei doni personali stava rischiando di spaccare il senso della comunione e della fraternità. Le appartenenze diverse, i riferimenti a diversi maestri stavano minando l’amore della comunità.

Paolo va alla radice, e ricorda che tutta quella varietà andava guardata con gli occhi dello Spirito, per vedervi “una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune”. Ciò che costituisce il proprio, il particolare, va visto come una espressione dello Spirito che è lo stesso in ognuno, e che tutto spinge verso l’utilità di tutti.

Il vostro parroco, don Giovanni

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